Il karate nel trattamento dei DCA
Referente: Dott.ssa Roberta Marconi – Psicologa marconi.roberta95@libero.it
All’interno del programma di Palazzo Francicsci e del Nido della Rondine dal 2019 è stata inserita l’antica tecnica del Karate.
Il karate è un’arte orientale che nasce con lo scopo di “imparare a svuotare la mente per riempirla con il nuovo”, infatti ha alla base una precisa filosofia che enfatizza l’osservazione rispetto all’azione, l’integrazione tra corpo e mente e possiede una forte componente meditativa.
La psicoterapia congiunta alla pratica del karate può direttamente migliorare la salute mentale di un individuo in quanto favorisce il rilassamento, l’attenzione, la comunicazione e l’autoaccettazione.
Nel karate è di fondamentale importanza lavorare sull’utilizzo della corretta e funzionale respirazione diaframmatica, considerata come mezzo di ricerca per il raggiungimento dell’equilibrio tra corpo e mente e non solo. Sebbene la respirazione sia fondamentale, spesso se ne ha scarsa consapevolezza e non viene utilizzata nella sua interezza. Può considerarsi uno dei grandi ritmi che governa l’organismo insieme al battito cardiaco e mentre risulta difficile intervenire sul cuore, sulla respirazione è possibile effettuare un certo controllo. Un’emozione forte porta di conseguenza ad un’accelerazione della frequenza respiratoria e del battito cardiaco; attraverso il controllo della respirazione anche il cuore ne risentirà consentendo da un lato di attenuare l’eccessiva reazione corporea allo stimolo e dall’altro di portare l’individuo ad una maggiore consapevolezza delle proprie risorse.
Nella respirazione diaframmatica la parte centrale del movimento respiratorio si polarizza al centro del ventre considerato nelle arti orientali anche il fulcro della vita, il punto da cui si sprigiona l’energia interiore, permettendo di far circolare una maggiore quantità di ossigeno.
Nel karate è fondamentale quindi collegare le varie tecniche alla respirazione, che deve mantenersi sempre tranquilla, costante e profonda. Nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare il mezzo psico-fisico della respirazione diaframmatica permette al soggetto di identificare una sorta di mappa corporea soggettiva che si tramuta in una spinta all’autoascolto e in uno strumento di riflessione per trovare risposte sempre più appropriate per poter fronteggiare gli stimoli esterni.
Oltre a permettere alla persona di acquisire consapevolezza del proprio corpo, del suo radicamento a terra e una capacità di concentrare le proprie forze e il proprio equilibrio interiore, può portare le emozioni a evolversi in importanti mezzi di crescita interiore.
Due elementi fondamentali di lavoro nel karate sono il kata e il kumitè. Il kata può considerarsi un combattimento immaginario caratterizzato da una serie di tecniche di difesa e attacco in sequenza, contro uno o più avversari interiori intervallati dai kiai, delle urla liberatorie per caricare e scaricare energia. Ogni kata ha la propria origine, il proprio significato e dei propri spunti di lavoro. Nel trattamento dei DCA ci si sofferma su alcuni di essi sia sul piano teorico che su quello pratico. Prendendo in esame piccoli blocchi da poter effettuare sul posto, si giunge a dar vita ad un ricchissimo lavoro introspettivo. Il linguaggio non verbale diviene l’elemento cardine che permette di far fuoriuscire i pensieri più profondi dell’individuo.
Con il kumitè, nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare, ci si impegna invece a percepire e comunicare con il compagno, si dice infatti di vedere ma non guardare l’altro per non perdere mai di vista se stessi.
La pratica del karate inoltre inizia e termina con il saluto. I pazienti vengono fatti predisporre in cerchio proprio per enfatizzare la condivisione di questo momento. Le fasi del saluto sono caratterizzate da un inchino (Oss) e da un Seiza in cui ci si siede o inginocchia. In particolare, nel momento del mokuso, che prende origine dagli ideogrammi moku “silenzio” e so “pensare”, fa riferimento al prendere pienamente coscienza dei propri pensieri, desideri e aspirazioni. L’ideogramma so, infatti, contiene parti che significano “occhio” e “mente”, che messi insieme prendono il significato di “guardare nel proprio cuore”.
All’inizio del gruppo il mokuso dovrebbe servire infatti a lasciare fuori la realtà esterna chiudendo gli occhi per poi poterli riaprire con lo spirito rinnovato e pronto a percorrere la via della scoperta e accettazione di sé.